venerdì 12 ottobre 2007

Coscienza e libertà

Spesso e volentieri religione e libertà sono viste come concetti autoescludentisi quando non diametralmente opposti.
L'etimo stesso della parola "religione" deriva da una radice indoeuropea che indica legame, relazione.

Un'intervista "a puntate" rilasciata da Abdannur a DatieFatti tocca un punto fondamentale di tale questione.
Partendo infatti dalla definizione della differenza fra il pensiero musulmano e la realtà dei paesi di religione islamica, Abdannur specifica l'importanza (ed i limiti) della professione di fede verso Allah:

D.: Ecco: quindi è diverso essere musulmano, e vivere islamicamente…

R.: Proprio com'è diverso, ad esempio, "professare" l'umanità e divinità del Cristo e, poi, dimenticare che "colui che lo ama è colui che ne accoglie i comandamenti e che li osserva" (Gv 14:21).
Nel Corano si parla dei credenti come di "coloro che credono e compiono il bene". Se credi "a parole", ma poi ti comporti in modo egoista, diffamatorio e violento - e dunque contrariamente a tutti i dettami della fede - allora dovrò senz'altro pormi qualche dubbio circa il tuo "credo", sebbene poi sia il Signore l'unico Giudice.

(le sottolineature in grassetto sono mie, N.d.R.)

Il muslim è colui che obbedisce alle leggi ed ai (ver)detti di Allah, che parla tramite il suo ultimo Profeta, Muhammad.
Analogamente (ma non identicamente), il buon cristiano è colui che obbedisce a ciò che Yeshua ben Yoseph, il Messiah (che non significa "figlio di Dio"), ha espresso sul pensiero di D_o.
Ma questo passo evangelico, che ha riscontri anche in numerosi passi coranici, dice molto di più: l'atto prescritto (aiuto dei bisognosi, rispetto dei riti e delle leggi religiose ecc.) è necessario ma non sufficiente alla completazione interiore del percorso verso Dio (ossia l'essere un buon credente).
Elemento essenziale è infatti il sentimento interiore, la predisposizione a fare il bene, l'assenza di calcoli e secondi fini.

Questa concezione (presente già nel pensiero ebraico precristiano) è stata rivoluzionaria, un tempo: le religioni politesitiche o enoteistiche preesistenti alle religioni abramiche vedevano infatti nelle leggi morali e nei precetti la volontà degli Dèi, i quali punivano severamente l'empietà e la crudeltà (concetti molto relativi, ovviamente).

Ma l'elemento della coscienza era secondario.


E ' l'interiorità dell'essere umano, più che i suoi atti, ad essere centrale nella relazione Dio-essere umano.

Ciò ebbe ed ha ripercussioni anche al di fuori della religione, inevitabilmente: nella società come nella politica, nell'arte come nel diritto. L'essere umano, al di là del suo credo, è visto come figlio dello stesso padre e ad esso sottoposto, anche se non ne è cosciente.

Nell'interiorità del suo animo si sviluppa il suo rapporto con il divino.

Ma essere coscienti della propria unicità per volere di Dio che ha creato l'umanità comporta il peso della decisione: decido l'obbedienza alle sue leggi o no?

La libertà interiore di scegliere è data.

Ma spesso non viene rispettata la libertà ad essa conseguente e susseguente: quella di vivere al di fuori delle regole del Dio.
Almeno all'interno del gruppo sociale-identitario di appartenenza.


Il peso della libertà di decidere secondo coscienza è di fronte a Dio e di fronte agli uomini: ed è un pesante fardello. Dal disprezzo sociale fino alla persecuzione da parte degli (altero)credenti, che, identificando il male in ciò che è al di fuori della loro visione di Dio, tendono ad odiare e isolare o distruggere coloro che a parere loro disobbediscono del tutto o in parte al suo volere.

Ad una forma di libertà interiore ed individuale dunque viene posto il limite dell'indiscutibilità di Dio.


La dialettica fra la coscienza umana individuale e l'umano desiderio di non accettare ciò che è ritenuto estraneo o distorto dal pensiero divino (il dogma).

1 commento:

MattBeck ha detto...

Grazie, Aresda, e benvenuta :-)


Concordo, questa serie di interviste è molto interessante