lunedì 22 ottobre 2007

Italiani in carcere all'estero: una conferenza stampa

COMUNICATO STAMPA

"LA CONDIZIONE DEI DETENUTI ITALIANI ALL’ESTERO"
Dal Caso “CARLO PARLANTI” detenuto nel penitenziario di Avenal
(California-USA)
Al Caso “ANGELO FALCONE” detenuto nello Stato himalayano dell’Himachal
Pradesh (India)

Conferenza Stampa mercoledì 24 Ottobre ore 14.00 presso la Sala Stampa
Camera dei Deputati- ingresso Via della Missione, 4

L'iniziativa promossa ed organizzata dall'On.le Marco Zacchera
(Responsabile Esteri AN e Vice Presidente del Comitato per gli Italiani
all'’Estero della Camera-www.marcozacchera.it) vuole sensibilizzare
l’'opinione pubblica sulla condizione dei detenuti italiani all’'estero
(circa 3.000 dai dati DGIT-Ministero affari esteri 2005) e far luce sui diritti
fondamentali che nonostante siano sanciti dalle varie convenzioni e
trattati internazionali vengono costantemente disattesi, dando vita a vere e proprie
tragedie umane e familiari.

La Data della Conferenza Stampa è stata fissata alla vigilia
dell’'udienza di Carlo Parlanti prevista il 25 Ottobre prossimo presso la Corte di
Ventura
(California)
Una data simbolica per riaffermare ancora una volta che Carlo Parlanti è
stato arrestato nel 2004 in Germania- sulla base di accuse non
riscontrate - estradato direttamente negli USA nel 2005, recluso nel penitenziario di
Avenal (California) in una cella di 400 detenuti ed attualmente
ricoverato presso l'ospedale di Beckersfield per le sue gravi condizioni di
salute e che speriamo possa rientrare da vivo in Italia. (www.carloparlanti.it)

Alla suddetta conferenza stampa parteciperanno
i firmatari della petizione parlamentare Zacchera sul caso Parlanti (21 Settembre) di quasi tutti gli schieramenti politici compresi i Deputati italiani eletti all’'estero ed il sindaco Ettore Severi (Sindaco di Montecatini Terme- città di Carlo
Parlanti) che dal 2004 segue attivamente la vicenda Parlanti


Interverranno insieme all'On.le Zacchera :
l'On. Avv. Giulia Bongiorno (AN)
l'On. Margherita Boniver (FI)già Ministro degli italiani
all'estero
Franco Londei di Secondoprocotollo:
l'organizzazione umanitaria impegnata nella difesa dei diritti umani (www.secondoprotocollo.org) che dall'Italia è in costante contatto
con il nuovo difensore di Carlo Parlanti

La madre di Carlo Parlanti: Nada Pacini e Katia Anedda: la compagna di sempre - fondatrice del comitato “Carlo Parlanti” che da anni sta lottando con tutte le proprie forze per far
luce sulla vicenda)

Si prega i Signori giornalisti, fotografi ed operatori radio-televisivi
di accreditarsi entro le h. 20 di Lunedì 22 ottobre presso l'ufficio
stampa Camera dei Deputati.

domenica 21 ottobre 2007

Kassim è in sciopero della fame

Abou ElKassim Britel è in sciopero della fame da mercoledì 17 ottobre


Una testimonianza-appello della moglie Khadija:


Nel carcere di Äin Bourjia è sospesa ogni attività, spento il forno, chiusa la cucina, i detenuti escono dalle celle solo per la preghiera in moschea. Lo sciopero è generalizzato.

Ancora una volta gli scioperanti chiedono un trattamento dignitoso, da sempre negato nel carcere di Salé.

Kassim stava lì fino ad anno fa, sa molto bene come ci si vive.

Nel marzo 2004, occhi bendati e manette ai polsi, vi subì un feroce pestaggio, accompagnato da ingiurie e dal taglio della barba con un coltello.

Non ho dimenticato la durezza di quel luogo e la coercizione esercitata anche su di noi parenti in visita.

Spero che mio marito resista, che il suo fisico già tanto provato non ceda, questo è il suo terzo sciopero della fame continuato

20 ottobre 2007


Cosa sta succedendo nelle carceri marocchine?

Dal 25 settembre è in atto la protesta degli 'islamistes' nel carcere di Salé...


Continua su giustiziaperkassim.net

venerdì 12 ottobre 2007

Coscienza e libertà

Spesso e volentieri religione e libertà sono viste come concetti autoescludentisi quando non diametralmente opposti.
L'etimo stesso della parola "religione" deriva da una radice indoeuropea che indica legame, relazione.

Un'intervista "a puntate" rilasciata da Abdannur a DatieFatti tocca un punto fondamentale di tale questione.
Partendo infatti dalla definizione della differenza fra il pensiero musulmano e la realtà dei paesi di religione islamica, Abdannur specifica l'importanza (ed i limiti) della professione di fede verso Allah:

D.: Ecco: quindi è diverso essere musulmano, e vivere islamicamente…

R.: Proprio com'è diverso, ad esempio, "professare" l'umanità e divinità del Cristo e, poi, dimenticare che "colui che lo ama è colui che ne accoglie i comandamenti e che li osserva" (Gv 14:21).
Nel Corano si parla dei credenti come di "coloro che credono e compiono il bene". Se credi "a parole", ma poi ti comporti in modo egoista, diffamatorio e violento - e dunque contrariamente a tutti i dettami della fede - allora dovrò senz'altro pormi qualche dubbio circa il tuo "credo", sebbene poi sia il Signore l'unico Giudice.

(le sottolineature in grassetto sono mie, N.d.R.)

Il muslim è colui che obbedisce alle leggi ed ai (ver)detti di Allah, che parla tramite il suo ultimo Profeta, Muhammad.
Analogamente (ma non identicamente), il buon cristiano è colui che obbedisce a ciò che Yeshua ben Yoseph, il Messiah (che non significa "figlio di Dio"), ha espresso sul pensiero di D_o.
Ma questo passo evangelico, che ha riscontri anche in numerosi passi coranici, dice molto di più: l'atto prescritto (aiuto dei bisognosi, rispetto dei riti e delle leggi religiose ecc.) è necessario ma non sufficiente alla completazione interiore del percorso verso Dio (ossia l'essere un buon credente).
Elemento essenziale è infatti il sentimento interiore, la predisposizione a fare il bene, l'assenza di calcoli e secondi fini.

Questa concezione (presente già nel pensiero ebraico precristiano) è stata rivoluzionaria, un tempo: le religioni politesitiche o enoteistiche preesistenti alle religioni abramiche vedevano infatti nelle leggi morali e nei precetti la volontà degli Dèi, i quali punivano severamente l'empietà e la crudeltà (concetti molto relativi, ovviamente).

Ma l'elemento della coscienza era secondario.


E ' l'interiorità dell'essere umano, più che i suoi atti, ad essere centrale nella relazione Dio-essere umano.

Ciò ebbe ed ha ripercussioni anche al di fuori della religione, inevitabilmente: nella società come nella politica, nell'arte come nel diritto. L'essere umano, al di là del suo credo, è visto come figlio dello stesso padre e ad esso sottoposto, anche se non ne è cosciente.

Nell'interiorità del suo animo si sviluppa il suo rapporto con il divino.

Ma essere coscienti della propria unicità per volere di Dio che ha creato l'umanità comporta il peso della decisione: decido l'obbedienza alle sue leggi o no?

La libertà interiore di scegliere è data.

Ma spesso non viene rispettata la libertà ad essa conseguente e susseguente: quella di vivere al di fuori delle regole del Dio.
Almeno all'interno del gruppo sociale-identitario di appartenenza.


Il peso della libertà di decidere secondo coscienza è di fronte a Dio e di fronte agli uomini: ed è un pesante fardello. Dal disprezzo sociale fino alla persecuzione da parte degli (altero)credenti, che, identificando il male in ciò che è al di fuori della loro visione di Dio, tendono ad odiare e isolare o distruggere coloro che a parere loro disobbediscono del tutto o in parte al suo volere.

Ad una forma di libertà interiore ed individuale dunque viene posto il limite dell'indiscutibilità di Dio.


La dialettica fra la coscienza umana individuale e l'umano desiderio di non accettare ciò che è ritenuto estraneo o distorto dal pensiero divino (il dogma).

martedì 9 ottobre 2007

Notizia redazionale....

Chiedo scusa ai lettori del blog per la lunga "vacanza" di post e commenti, ma fra situazioni ironiche con le aziende telefoniche ed il lavoro non sono riuscito ad aggiornare a lungo il blog.

Un caloroso e sentito GRAZIE ai lettori ed ai commentatori.

Adesso mi metterò di buona lena anche per mettere i links....

Il fatale confine fra possibile e reale

Lo studio sociopsicologico della paura, incentrato sui suoi effetti politici e giuridici, ha un peso sempre maggiore in molti studi politologici volti a comprendere meglio le complesse dinamiche che modificano più o meno impercettibilmente le nostre società postmoderne.
Tali studi erano stati già avviati con importantissimi ed ancora attuali risultati già nell'Ottocento, ad esempio dal filosofo danese Soeren Kierkegaard (Begrebet Angest in particolare, ma conosco solo l'edizione tedesca, Der Begriff Angst, 1844) o da Theodor Mommsen, sommo storico e fine conoscitore dell'animo umano, sempre cangiante nella storia e però sempre uguale.

Ma adesso, con il potenziarsi degli strumenti di comunicazione ed informazione di massa e soprattutto colla nascita dell'idea di opinione pubblica, sempre più decisiva in sistemi politici di democrazia rappresentativa, questa prospettiva storico-socio-psico-antropologica sta diventando sempre più importante ed interessante, in particolare per il lavoro intellettuale (e talvolta anche più o meno politico o comunque politologico) di numerosi centri di studi e think tanks statunitensi (tanto per cambiare).

La paura e l'angoscia sono due sentimenti umani molto simili ma anche diversi e talvolta respingentisi: la prima deriva dalla valutazione realistica di un pericolo effettivo ed imminente; l'altra nasce e si sviluppa nell'indeterminatezza, nella sensazione che qualcosa di orribile possa accadere, ma non vi è niente né di certo né di sicuro.

Questi sentimenti, il cui sviluppo e concretarsi dipendono anche e soprattutto dall'informazione, hanno spesso condotto a decisioni molto gravi e, superate le condizioni critiche, viste a posteriori come infamanti ; tanto per fare qualche esempio, la persecuzione di Ebrei e Mori nella Spagna della Reconquista, discriminati ed infine cacciati non tanto e non solo per intolleranza religiosa (certo presente e determinante), ma in quanto giudicati infide spie di stati ostili o forze occulte (paranormali e non).


O il clima di congiura e paura collettiva che indebolirono i movimenti marxisti, socialdemocratici e liberali nella Repubblica di Weimar e che di conseguenza e nel contempo favorirono grandemente (documenti riservati dei nazisti cantano) l'ascesa dei fanatici della NSDAP.


Insomma questo è un problema antropologico e sociale, almeno nelle sue manifestazioni più gravi ed irreparabili. Che può avere enormi conseguenze anche sul piano politico internazionale: il ventennio di guerre napoleoniche è difficilmente spiegabile senza porre mente alla paranoia della congiura francese paneuropea e dei terribili (per i poteri costituiti e le classi che di essi maggiormente usufruivano) effetti della Rivoluzione. Non bastano le indubbie ambizioni egemoniche (non imperiali) di Napoleone a spiegare il cataclisma politico-militare europeo che va dal 1789 alla battaglia di Waterloo e oltre.

Ma è in un altro punto che questi fattori pericolosi per la dignità e la felicità umane fanno spesso breccia.

Ed è il diritto.


Lo spirito delle leggi fondamentali (ossia la costituzione e la Carta dei Diritti dell'Uomo) è sostanzialmente la protezione dei diritti della persona umana, indifferentemente dalle sue idee, propensioni, opinioni, caratteristiche.

Ma quando la paura e l'angoscia permangono (magari anche per ragioni in qualche modo legittime e comprensibili) in una società che vuole e pretende di mantenere elevati standards di vita accettabile e dignitosa, dove si pone il margine di rischio?
Dove finisce il legittimo allarme per un pericolo e inizia una restrizione delle libertà fondamentali ed inalienabili di cui nessuno può seriamente presumere di vedere il termine ultimo e preciso?
Chi può dire serenamente che, nella certezza delle grandi conquiste giuridiche (che ancora adesso spesso non sono che lo specchio rovesciato e deformato della realtà sociale viva), la pretesa parziale e temporanea limitazione dei nostri DIRITTI sarà appunto solo passeggera e che tutto tornerà come prima, nessuno sa QUANDO, IN CHE CIRCOSTANZE e COME?

Al di là del normale buonsenso politico (è interesse di una classe politica restituire bontà sua quanto è stato tolto? I gruppi e le correnti non politiche prive di qualunque autorità o anche solo legittimità politico-decisionale, ad esempio magistrati e uomini di legge che ignorano lo spirito delle leggi o uomini d'affari desiderosi di fare guadagni e diventare più potenti, o anche semplici cittadini indifferenti ai loro diritti, queste realtà esistenti accetterebbero un ritorno ad una situazione precedente più equa?), la natura stessa del diritto, consuetudinario e destinato per sua natura ad incidere sul reale, più fedele ma anche malleabile possibile ad alcuni grandi concetti filosofici, spinge a vedere con preoccupazione fenomeni quali la restrizione delle libertà civili e dei diritti umani e dell'individuo politico.

Una riduzione dei diritti in stato di necessità avallato da una autorità giurisprudenziale è qualcosa che difficilmente può essere ignorata
o comunque non valutata anche dal giudice o dal legislatore più attento e coscienzioso; è impossibile determinare l'entità di un vulnus inferto ad una serie di categorie fondanti e determinanti del diritto, come si è configurato dai tempi di Omero a Salvo Giuliano a Kelsen ai nostri padri costituenti.
Perché la giurisprudenza non è una scienza: esistono limiti che un giudice deve rispettare; ma la legge viene interpretata. Una volta limitato un diritto essenziale, cosa impedirà di allargare le maglie di eccezionalità a quest'ultimo? O di restringere le garanzie assicurate da un altro?

Vale la pena, di fronte ad una terribile eventualità (ma occhio all'informazione), di rinunciare probabilmente per sempre (ma fosse anche solo per un giorno), ad un pezzo della nostra libertà e della nostra possibilità di vivere una vita degna di essere vissuta?